Psicosi autoimmune e cause
infiammatorie di psicopatologia
GIOVANNA REZZONI
NOTE E NOTIZIE - Anno XVII – 17 ottobre
2020.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Per oltre un secolo l’eziopatogenesi
dei disturbi mentali riconducibili alla categoria nosografica delle psicosi è
stata indagata seguendo due principali indirizzi: genetico e psicogeno, anche
se da sempre era noto che la maggior parte delle malattie neurologiche del
cervello fosse in grado di causare psicopatologia. Escludendo le sindromi
psichiatriche secondarie ad altri processi patologici e le psicosi organiche,
tradizionalmente si tendeva a considerare nell’eziopatogenesi delle sindromi
caratterizzate da deliri, allucinazioni, mutamenti nello stile cognitivo, nel
tono affettivo ed emotivo, fattori predisponenti, che includevano
familiarità, alterazioni genetiche, epigenetiche (effetto ambientale) e neuroevolutive, concause e fattori precipitanti.
Solo di recente, e soprattutto grazie alla ricerca condotta nel campo della
psiconeuroimmunologia, è cresciuto l’interesse per reazioni autoimmunitarie e
infiammatorie nell’eziopatogenesi della schizofrenia, della depressione
psicotica, del disturbo bipolare e degli altri quadri mentali che, nell’insieme,
costituivano la “grossa psichiatria” nel gergo clinico del ventesimo secolo.
Alcuni anni fa è stata proposta l’ipotesi
dell’encefalite lieve (ME, da mild encephalitis), sviluppata sul modello di quanto accade
nella malattia umana da infezione del virus Borna: un
sottogruppo di pazienti affetti da disturbi mentali gravi (SMD, da severe mental disorder), soprattutto nello spettro delle
psicosi schizofreniche e affettive, potrebbe soffrire di uno stato neuro-infiammatorio
del sistema nervoso centrale, che rimane non rilevato perché difficile da
diagnosticare con mezzi e strumenti attualmente disponibili.
Recentemente in neurologia sta
emergendo un nuovo sottogruppo di casi di pazienti affetti da encefalite
autoimmune (AE, da autoimmune encephalitis),
che soffre di varie sindromi neurologiche, descritte in concomitanza con la
scoperta di una lista crescente di autoanticorpi diretti contro epitopi di
cellule del sistema nervoso centrale. Similmente, in psichiatria è stata proposta
la nuova diagnosi di psicosi autoimmune (AP, autoimmune psychosis by consensus criteria)
per pazienti che presentano autoanticorpi diretti verso il sistema nervoso
centrale insieme con sintomi psicotici isolati e segni paraclinici
di neuroinfiammazione, anche se lievi, che soddisfano i criteri proposti per la
definizione della ME.
Karl Bechter
ha affrontato e discusso le recenti evidenze in questo campo e gli aspetti più
interessanti per lo sviluppo di ulteriori studi, focalizzando l’attenzione
sulla diagnosi di neuroinfiammazione nei disturbi psichiatrici gravi.
(Karl Bechter, The Challenge of Assessing
Mild Neuroinflammation in Severe Mental Disorders. Frontiers in Psychiatry – Epub ahead of print doi: 10.3389/fpsyt.2020.00773, 2020).
La provenienza
dell’autore è la seguente: Department
for Psychiatry and Psychotherapy, Ulm University, Bezirkskrankenhaus
Günzburg, Günzburg (Germania).
Un limite culturale della
psichiatria contemporanea, al cui superamento la nostra società scientifica cerca
con molto impegno di dare un contributo, è la difficoltà di accettare una causa
eziologica tipica della patologia di interesse neurologico come causa di
psicosi schizofrenica, depressione maggiore e disturbi bipolari (SMD).
La questione non è da poco, perché
se è facile dire, riprendendo i titoli di tanti studi e saggi degli ultimi
trent’anni, che “le malattie mentali sono malattie del cervello”, non si
possono ridurre i disturbi psichiatrici a patologia neurologica per una lunga
serie di buoni motivi, primo fra tutti la diversa concezione patologica e
clinica che esiste tra neurologia e psichiatria, con una formazione sostanzialmente
diversa fra neurologo e psichiatra. La neurologia è una branca della medicina
interna specializzata nello studio, nella diagnosi e nella cura delle malattie
del sistema nervoso centrale e periferico, che coprono un vastissimo spettro
esteso dalle lesioni dei nervi ai traumi cranio-cerebrali, e la sua pratica si
fonda sull’approccio al paziente secondo la comune metodologia clinica
internistica. Il neurologo, come il cardiologo, il nefrologo o il dermatologo, incontra
una persona che gli comunica sintomi soggettivi e accetta di sottoporsi agli
accertamenti oggettivi che consentono al medico di formulare la diagnosi e
prescrivere una terapia. Al contrario, lo psichiatra, in una parte
considerevole e precipua della sua pratica, che un tempo era definita “grossa
psichiatria”, non ha di fronte un interlocutore che gli presenta come oggetto
la parte ammalata sulla quale di comune accordo si agisce, ma ha una persona
che nel suo stesso essere presenta un disturbo.
Comunemente accade che qualcuno si
rivolga a un neurologo, indirizzato dal proprio medico curante o da un altro
specialista, perché avverte una perdita di forza in un arto, perché ha un
dolore localizzato resistente ad antidolorifici e analgesici, perché cade all’improvviso
perdendo coscienza, perché pur avendo una vista perfetta deve ruotare il capo da
un lato per accorgersi di una metà ignorata del campo visivo. Con la stessa
frequenza, lo psichiatra si trova di fronte a persone che confidano di avere
poteri soprannaturali, che denunciano congiure e persecuzioni ai loro danni,
che rivelano di aver fatto scoperte straordinarie o che pretendono di insegnare
la medicina ai medici sulla base di intuizioni deliranti.
Mentre in neurologia la malattia è definibile
nell’ordine di ciò che si ha, in psichiatria rientra nell’ambito di ciò
che si è. Una distinzione che ha necessariamente influenzato la differenza
paradigmatica fra neuropatologia e psicopatologia. Pur abbondando la patologia
neurologica che causa disturbi psichiatrici – basti solo pensare alle malattie
neurodegenerative – e quadri canonici di malattia mentale per i quali si accerta
solo tardivamente o accidentalmente una causa o concausa cerebrale, rimane la
distinzione fra i due campi, sancita già quarant’anni or sono dalle due scuole
di specializzazione post-laurea separate[1].
Anche se oggi lo studio della
patologia cellulare e soprattutto molecolare del cervello ha un’importanza
notevole nella formazione dello psichiatra, un elemento culturale caratterizzante
e irriducibile alla psichiatria biologica è costituito dall’approccio alla dimensione
psichica attraverso una semeiotica dei processi mentali, che va oltre l’analisi
del comportamento e fornisce informazioni diagnostiche, prognostiche e
terapeutiche, in molti casi irrinunciabili.
Una parte non trascurabile delle
resistenze che incontra presso gli psichiatri il recepimento dei risultati
della ricerca sull’eziopatogenesi infiammatoria e autoimmunitaria dei disturbi
mentali, e in particolare delle psicosi, è riconducibile al timore che si possa
determinare la generalizzazione di un approccio internistico, abbandonando del
tutto lo studio psicopatologico del paziente e i percorsi terapeutici che
favoriscono il rimodellamento cognitivo ed emozionale. In altri termini, si
teme che possano favorire un ritorno al passato. A nostro avviso, la preoccupazione
è infondata, perché la conoscenza di una patogenesi e perfino di una causa
immunologica può accrescere le possibilità di trattamento efficace del singolo
paziente nel quale, ad esempio, si rinvengono autoanticorpi, senza che questa
casistica possa far accantonare acquisizioni ottenute con oltre mezzo secolo di
ricerca e osservazioni cliniche.
Come si è già osservato introducendo
lo studio qui recensito, una parte dei pazienti affetti da disturbi mentali compresi
nello spettro delle psicosi schizofreniche e affettive, inclusi casi di
depressione maggiore e disturbo bipolare grave, potrebbe presentare uno stato
neuro-infiammatorio non diagnosticato del sistema nervoso centrale; e i per i
pazienti, fra questi, che presentano autoanticorpi diretti verso il sistema
nervoso centrale, sintomi psicotici isolati e segni di neuroinfiammazione soddisfacenti
i criteri per la definizione della ME, è stata proposta la diagnosi di psicosi
autoimmune.
Karl Bechter
ha realizzato una rassegna critica degli sviluppi più recenti degli studi in
questo campo e ha esaminato e discusso le sfide che rimangono da affrontare per
la ricerca e la diagnosi clinica di neuroinfiammazione nella psicopatologia
SMD, sia in generale sia nella prospettiva transdisciplinare dei rapporti tra
psiconeuroimmunologia – il campo fondato da Robert Ader
– e psichiatria. Un aspetto di sicuro interesse è la riconsiderazione, da parte
di Bechter, delle classificazioni nosologiche attuali
alla luce dei nuovi criteri suggeriti dai dati emergenti dalla ricerca di base
e clinica.
In particolare, si presenta una
lista ridefinita e caratterizzata da gradi di intensità di stati clinici che
includono la “classica” encefalite, l’AE, l’AP/ME e nuove definizioni introdotte
dallo stesso Bechter, quali parainfiammazione,
neuroprogressione e parainfiammazione
indotta da stress. Per ciascuno di queste tre stati patologici cerebrali, l’autore
indica con precisione il rapporto con la neurodegenerazione. Tali
specifiche indicazioni possono costituire utili dati di partenza per ulteriori
ricerche sul possibile ruolo causale dell’infiammazione lieve e protratta nello
sviluppo di psicosi schizofrenica e disturbi gravi associati ad alterazioni
dell’umore.
Si osserva, poi, che è necessario
sviluppare una sub-classificazione in sottotipi di ME, quali ME Autoimmune
e ME Infettiva per consentire una diagnosi differenziale che consenta
trattamenti il più possibile specifici se non proprio individualizzati.
Lo stato attuale della diagnosi
clinica di lievi meccanismi neuroinfiammatori
implicati nei disturbi mentali gravi è delineato ricorrendo all’esempio dell’attuale
diagnosi e terapia della psicosi autoimmune (AP).
Infine, Bechter
propone idee per la ricerca futura finalizzata alla comprensione dell’esatto
ruolo svolto dalla neuroinfiammazione nell’eziologia delle malattie mentali
croniche più gravi, e discute le difficoltà che potranno insorgere con i nuovi
principi terapeutici con immunomodulatori, antinfiammatori e antimicrobici
secondo la medicina di precisione.
Questa rassegna ragionata costituisce
un’utile lettura, oltre che per gli psichiatri, per tutti i ricercatori che
indagano le basi cellulari e molecolari della neuropatologia.
L’autrice della nota ringrazia
la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di studi di argomento connesso che appaiono nella sezione
“NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanna Rezzoni
BM&L-17 ottobre 2020
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presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio
2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale
non-profit.
[1] Fino agli anni Ottanta esisteva nei maggiori atenei
italiani la possibilità di specializzarsi in “Malattie Nervose e Mentali”; così,
formandosi come neurologo, un medico con un breve tirocinio in reparti
psichiatrici poteva esercitare la psichiatria. Introdotta la scuola di specializzazione
in psichiatria della durata di 4 anni (poi portati a 5), sono state insegnate
discipline nuove e fondamentali per la comprensione di tutto ciò che era stato
scoperto sui disturbi mentali e sui differenti approcci diagnostici e
terapeutici adottati nel mondo. Coloro che continuavano a specializzarsi in
malattie nervose e mentali, curando sia pazienti neurologici che psichiatrici,
si autodefinivano “neuropsichiatri” (nulla a che vedere con la neuropsichiatria
infantile). Non meraviglia che chiamare “neuropsichiatra” uno specialista in
psichiatria possa ancora provocare una vivace reazione di puntualizzazione: il
motivo è in questa differenza di percorso formativo e non nel fatto che lo
psichiatra neghi le cause cerebrali e neurologiche di psicopatologia.